Le piccole grafiche: francobolli e etichette. Dal blog di Marianna Milione

Di francobolli, monete e altre piccole grafiche

Quando si parla di grafica stampata (e non) di solito si pensa a progetti di medio e grande formato: cartoline, poster, striscioni. Probabilmente la cosa più piccola a cui si pensa è il biglietto da visita. Eppure ci sono tanti altri supporti molto piccoli che fanno parte della nostra vita e che hanno a che fare con la grafica: francobolli, monete, timbri, etichette. Siamo immersi da grafiche così piccole che neanche ce ne rendiamo conto, passano inosservate e invece sono più importanti di quanto pensiamo.


Una grafica per viaggiare: i francobolli

Che siano funzionali o da collezionismo, i francobolli sono un concentrato di grafica. Ideati dal politico britannico Rowland Hill nel 1840 con la sua riforma postale, sono stati una vera e propria rivoluzione. Usati per affrancare la posta, sono una prova del pagamento per la spedizione (prima il costo era a carico del destinatario): senza un francobollo una lettera non può viaggiare.

Il primo francobollo è stato il Penny Black e raffigurava il profilo della Regina Vittoria. Pensa che fu indetto un concorso con un premio di ben 600 sterline (una cifra pazzesca per l’epoca) dal Ministero del Tesoro Britannico al quale pervennero più di 2700 illustrazioni, nessuna però adatta allo scopo. 

Il Penny Black, il primo francobollo al mondo.

Non puoi disegnare un francobollo senza considerare un aspetto cruciale: la stampabilità. 

Mentre in passato la stampa era in monocromia, cioè si stampava un solo colore, oggi possiamo farne di iper colorati, con dettagli in rilievo o metallici, quadrati, rettangolari ma anche tondi. 

Negli anni sono state realizzate tantissime edizioni speciali ma, per quanto artistiche siano, devono sempre rispondere a delle linee guida. È qui che entra in gioco la grafica che, attraverso l’uso delle griglie e la scelta calibrata dei caratteri tipografici, restituisce un francobollo stampabile e leggibile; alcune scritte sono così piccole che è un’impresa trovare il carattere e lo spessore adatto!La parte illustrata, la cosiddetta vignetta, contiene le indicazioni dello Stato emittente e il valore nominale di affrancatura, mentre intorno c’è la dentellatura. I francobolli possono essere stampati su carta normale o filigranata – anche se ne esistono in metallo e addirittura in merletto – e in alcuni Stati è possibile personalizzarli e stamparli in casa. Ma non quelli decorativi, intendo proprio quelli veri, che hanno il valore del francobollo statale ma con la grafica che vuoi. Che voglia di spedire lettere in giro con il mio francobollo personale!

Lo schema di un francobollo.

Timbri esclusivi: gli ex libris

Anche i timbri rientrano nel campo della grafica e quelli che mi affascinano di più sono gli ex libris.

Io non li conoscevo finché non li ho scoperti grazie a Francesca aka Tegamini che ha mostrato quelli di Clara De Lorenzi “Ex Libris Room”. Piccola parentesi su Clara: è un’illustratrice e designer grafica che da qualche anno realizza timbri ex libris personalizzati e non. Dallo stile liberty, li trovo bellissimi e nel suo shop c’è l’imbarazzo della scelta – io, per ovvi motivi, sarei propensa per la M ma anche quello con il corvo ha il suo fascino. 

Se non riesco a sceglierli allora li dovrei prendere entrambi.

Ma cosa sono gli ex libris? In parole povere, sono dei timbri utilizzati per “marchiare” i propri libri e indicarne così la proprietà. Sono nati nella seconda metà del Cinquecento e fino alla fine dell’Ottocento erano di matrice araldica – su questo tema prima o poi ci dovrò scrivere qualcosa – e usati dalle classi nobiliari. Bisognerà aspettare il Novecento che, grazie ad una sempre più ampia diffusione dei libri, porterà alla ribalta gli ex libris anche nella popolazione borghese: medici, avvocati e commercianti incaricavano gli artisti per avere il proprio ex libris. Oggi gli ex libris non hanno più la valenza di una volta ma sono per lo più diffusi tra gli amatori. 

Qui forse più che la grafica entra in gioco l’illustrazione ma quando ci sono di mezzo formati e dimensioni, e quindi la progettazione allora ecco che fanno capolino le nozioni di grafica. Ad esempio non si possono realizzare delle linee troppo sottili perché poi rischiano di non essere timbrate, così come aree troppo estese imprimono troppo inchiostro facendolo passare sulla pagina successiva. Anche i testi se troppo piccoli possono risultare illeggibili. Insomma, la progettazione di un timbro deve essere una giusta calibrazione tra le dimensioni, tra pieni e vuoti e non è una cosa facile né scontata.
 

Una grafica di scambio: le monete

A pensarci bene forse la moneta è uno dei primissimi esempi di prodotto realizzato in serie e che ha in qualche modo a che fare con la grafica. La grafica non è altro che la progettazione di un artefatto visivo che ha lo scopo di comunicare qualcosa. Prendiamo quindi la moneta: su ogni faccia c’è un’immagine (artefatto visivo) che definisce un valore e l’appartenenza ad uno Stato (comunicazione). Quindi sì, anche quando si parla di monete (e di banconote) si può parlare di grafica.
Ricordo ancora il lontano 2002 quando presentarono l’Euro. A casa avevo un giornale con tutte le raffigurazioni delle monete dei diversi Stati: ne rimasi completamente affascinata. Mi piacevano in particolare i 10 centesimi con la Venere di Botticelli, le monete irlandesi con l’arpa celtica e le monete da 1 € e 2 € francesi con l’albero – non vorrei sbagliarmi ma l’Italia è l’unica ad avere un’immagine diversa per ogni moneta.

Ma ritorniamo alla grafica. Quando bisogna progettare una moneta ci sono tanti fattori da considerare tra cui la dimensione e la produzione. Così come succede per i francobolli, anche qui bisogna ragionare su una scala molto piccola e la leggibilità non è un aspetto di poco conto.
Mentre oggi è più semplice riprodurre qualsiasi immagine, in passato progettare una moneta non era così facile. In particolare non era possibile riprodurre dettagli troppo minuziosi e sottili perché non solo sarebbero stati difficili da riprodurre sulla matrice di stampa (il conio) ma l’usura sarebbe stata di gran lunga più veloce. 

FUN FACT: lo sai che per disegnare una moneta si parte da un modello in gesso di 20 cm di diametro? Da lì ad arrivare alla moneta vera e propria ci sono innumerevoli passaggi. 

La disposizione del testo sul cerchio, l’uso di pattern per decorare, sono solo alcuni dei dettagli che rendono una moneta unica. Anche se per un oggetto così piccolo si può pensare che non ci sia molto da progettare, in realtà le possibilità di rappresentazioni sono infinite.

Le bellissime volute delle corone danesi bucate. Foto di Rémy CETRE.

Un logo adesivo: le etichette

Concludo questo excursus con una grafica più canonica: le etichette. 

Di carta, di tessuto o adesive tra le più piccole ci sono quelle che si applicano sulla frutta. Hai presente il bollino sulle banane Chiquita? Ecco, proprio quelle. Ebbene sì, se vuoi brandizzare un frutto una delle alternative più economiche (anche in termini ambientali) è apporre una piccola etichetta adesiva con il nome del brand e il suo logo. Io non sono una fan dei packaging per singolo frutto, anzi, sono proprio contraria! Lo trovo uno spreco e l’etichetta credo sia la soluzione più corretta.

La Chiquita con la sua figura alla Carmen Miranda ha fatto la storia e oggi ci basta guardare anche solo un dettaglio per riconoscere il brand. Miss Chiquita è diventata un’icona pop.

Miss Chiquita, un’icona dal 1987. Foto di Sophie Dale.

Ebbene sì, anche un’etichetta così piccola può comunicare molto, per questo è fondamentale scegliere la grafica più adatta. No a scritte troppo piccole e poco leggibili, no a troppe informazioni e sì alla semplicità. Ed è qui che entra in gioco la versatilità di un logo. Una delle regole principali di quando si progetta un logo è far sì che sia riconoscibile anche in un solo colore, anche in piccolo. Perché se hai un logo troppo complesso rischi di non riuscire a utilizzarlo in tutte le occasioni. Questo non vuol dire che un logo deve essere sempre minimal ma che deve avere anche una versione più semplice ma comunque riconoscibile.
C’è un sito che si chiama Responsive Logos che mostra una carrellata di loghi di brand famosi e la loro scalabilità. Puoi vedere tutte le alternative ridimensionando il browser o ruotando il tuo smartphone: i loghi si adatteranno in base alla dimensione dello schermo.

Più si rimpiccioliscono più perdono dettagli pur restando riconoscibili.

I grandi brand lo sanno, per essere riconoscibili devi avere un logo che funziona sempre, in grande e in piccolo. 
Per questo motivo quando progetto un logo realizzo anche un’alternativa piccola: non diventerà un’etichetta per la frutta ma per brandizzare piccole aree (tipo il favicon di un sito) è perfetta. 

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