
23 Feb Quando l’idea del design è in bilico
L’altra sera mentre scorrevo pigramente un po’ di notizie mi sono imbattuta in un articolo di Rolling Stones. Alla lettura del titolo ho strabuzzato gli occhi ma ho deciso di approfondire. Mai giudicare un libro dalla copertina, giusto? L’articolo titola “Marcantonio Raimondi Malerba: «Volete darvi al design? Non studiatelo»”. Metto le mani avanti e vi dico che, mea culpa, non lo conosco molto bene e quindi non mi va di giudicare il suo lavoro né tanto meno sentenziare su cosa sia giusto o sbagliato. Ma mi ha fatto molto riflettere.
Design o arte?
L’articolo è un’intervista a Marcantonio Raimondi Malerba e approfondisce il suo lavoro e le sue dinamiche dietro la sua produzione. Viene messo in luce anche il suo essere una persona alla mano contrariamente, a detta dell’intervistatore, degli altri designer “eternamente spocchiosi”. Per chi non lo conoscesse, Marcantonio ha riscosso molto successo con le sue Monkey Lamp per Seletti, lampade che raffigurano una scimmia con in mano una lampadina. Guardandole non faccio che chiedermi «Qual è il confine tra arte e design?». Me lo chiedo perchè Marcantonio si definisce, e lo definiscono, un designer. Un designer contaminato dall’arte, ma un designer.
Forse c’è un po’ di confusione tra questi due mondi che inevitabilmente si incontrano e scontrano. È un dibattito lungo che necessiterebbe di un confronto più ampio e di un po’ di chiarezza.
Noi siamo anche ciò che studiamo
Continuando a leggere l’intervista trovo finalmente il punto che mi interessava di più e che ha dato il titolo all’articolo. Dopo aver definito il design “arte commerciale”, l’intervistatore gli chiede se sia diventato prima artista e poi designer. E qui la sua risposta mi ha scioccata. Cito:
«voglio dire a tutti: non andate a fare corsi di design se volete farlo per lavoro. Si impara soltanto a usare il computer, non a farsi venire idee. Sono le idee che funzionano, non le skills al computer.»
Cosa vuole comunicare con queste parole? Che la parte accademica del design rischia di essere troppo lontana dal mondo reale? Forse. Anche a me è capitato di riscontrare grossissime differenze tra le dinamiche universitarie e quelle lavorative. E avrei voluto che l’università mi avesse messo più in guardia o formata di più per affrontare il mondo reale. Ma credo che questo sia tema abbastanza diffuso nell’istruzione.
Io invece prendo le parole alla lettera e leggo una delegittimazione dell’istruzione e un’analisi un po’ riduttiva di ciò che si apprende nel contesto accademico. Non metto in dubbio che l’esperienza, che il fare le cose sia una parte fondamentale nella costruzione della propria professionalità. Ma non credo che in università o in accademia si impari solo la tecnica. Anzi, è un ambiente stimolante che consente di costruire una cultura, di confrontarsi e di farsi venire le idee. Le idee non arrivano per grazia ricevuta ma perché abbiamo un background attraverso il quale leggere la realtà e interpretarla. E credo anche che conoscere la parte tecnica sia importante perché è il mezzo attraverso il quale esprimere ciò che si ha in mente.
Difendiamo la nostra cultura
Aggiungo anche che leggere queste parole un po’ mi ha fatto male. Non so voi, ma quando viene screditato qualcosa in cui ho creduto e che ha richiesto sacrifici – e non solo miei – un po’ mi dispiace. E mi fa anche arrabbiare. Preferirei una contestualizzazione delle proprie idee anziché sentenziare solo con un «non studiate perché non serve nel mondo del lavoro». Parlare così non è costruttivo, è solo distruttivo. Piuttosto che puntare il dito, capiamo cosa non va e miglioriamo le cose. O almeno proviamoci.
Photo by Cindy Tang on Unsplash

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